Vae victis!
____________________________________ Questo ciclo è dedicato a tutti i vinti __________________________________
Tutto il mondo reale altro non è che un'estesa, incommensurabile sconfitta.
Siamo avanzi, miseri resti di ciò che il Tempo ha già divorato.
V. d. F.
VAE VICTIS!
di Cecilia Paolini
Guai ai vinti! La locuzione dello storico Livio, citata comunemente per antonomasia di fronte a un palese sopruso, denomina l'ultimo ciclo di lavori di Valerio de Filippis che ha per soggetti i cosiddetti “emarginati” della società. Non si tratta, però, di una sconfitta ottenuta su campo, piuttosto un fallimento ontologico di chi non ha avuto possibilità di scelta e, anzi, non si è mai posto il problema del riscatto, né sociale, tanto meno morale.
Spacciatori, criminali, terroristi senza bandiera né una divinità da adorare: in “Vae Victis!” viene rappresentato chi il limes della società civilizzata non l'ha mai varcato, perché nato già al di là, in luoghi dove non attecchiscono la morale e la cultura scelte da chi, per fortuita contingenza, è nato vincitore.
É un'umanità senza aggregazione, che sopravvive per inerzia da parassita violento, costantemente afflitta dall'ansia di sopraffare per non essere sopraffatti, impossibilitata a raggiungere quello stato di grazia dato dalla serenità: in senso fisico per non essere costretti a vivere nascosti, in senso morale per potersi permettere di rimanere soli davanti al flusso della propria coscienza e non doversi misurare con gli altri per dimostrare la propria brutalità.
I vinti di de Filippis somigliano agli antieroi di Pasolini e il rimando è talmente puntuale da far sì che i titoli dei dipinti siano spesso tratti dal film “Accattone” e rappresentano, in realtà, i pensieri dei soggetti.
A differenza di Tommasino de “Una Vita Violenta”, per esempio, nel ciclo "Vae Victis!" la possibilità di riscatto, almeno morale, è negata da una lettura nichilista dell'esistenza umana: se i personaggi pasoliniani avvertono senso di disagio per la propria condizione e in qualche modo cercano il cambiamento, puntualmente disatteso da una beffarda realtà che li costringe a un ineluttabile destino, i soggetti di "Vae Victis!" sembrano vivere nella totale inconsapevolezza, persi in una sopravvivenza bestiale e, per questo, profondamente innocente da cui non c'è via di fuga.
L'idea di bene e male è piuttosto nell'osservatore e non a caso nell'intero ciclo domina il contrasto tra luce e ombra, come a suggerire la determinazione della società tra peccato e virtù civile, differenza in base alla quale i soggetti raffigurati sono esclusi in quanto incarnazione della perdizione umana.
A questa visione non fa eccezione “Risonanza mistica”, in cui il soggetto sembra aver raggiunto la tanto agognata pace dei sensi; è una calma, però, non data da una condizione esistenziale, ma dalla sudditanza psicologica nei confronti di una fede sentita con altrettanta ineluttabilità dell'ansia di sopraffare.
Che sia la morale istituzionale una componente determinante del destino incontrovertibile degli emarginati è prova inequivocabile il “Pasto nudo”, opera ispirata al celebre romanzo di William Burroughs: il controllo delle menti che lo Stato può attuare sul singolo individuo è raffigurato come i tubi di un impianto, simbolo di progresso tecnologico e civile, che nutrono, ma nello stesso tempo intossicano, il soggetto.
Nei fondi bruni, è la costruzione della luce che determina le fisionomie: è un procedimento tecnico che rimanda a Caravaggio, attento osservatore, anch'egli, degli “scarti” della società. Mentre nei capolavori del Merisi al fondo bruno, che va a costituire le parti in ombra, si sovrappongono gli strati pittorici chiari delle parti messe in rilievo dalla luce, de Filippis costruisce i soggetti sottraendo colore al fondo scuro smascherando, di fatto, la lucentezza del legno grezzo.
"C'è un cadavere dall'altra parte di questa linea del cazzo" (2009) olio su legno, cm (35 x 24,7)
(frame dal film Heat di Michael Mann)
Solo in alcuni lavori viene introdotta, oltre al pigmento della preparazione, una tavolozza di colori più chiari, che viene
utilizzata non per gli incarnati, ma per comporre soggetti secondari o il fondale: si crea, in questo modo un contrasto netto tra ciò che è oggettivamente rappresentato, e che fa parte di una realtà comune, vale a dire i dettagli trattati con il colore, e il protagonista, tagliato sul fondo bruno, descritto dal colore morbido del legno che mette in risalto l'espressione ferina dell'ineluttabile perdizione.
Nell‘ “Apparizione di un no-global in un interno”, la tavolozza è utilizzata per rappresentare il mondo esterno, che compare attraverso una finestra, ossia quella realtà globalizzata e incontrovertibile da cui il protagonista è escluso. Non a caso tutto ciò che è “fuori” è descritto attraverso una scala cromatica molto fredda, in forte contrasto con i toni naturali del legno che rendono epico il soggetto. Questa interpolazione tra due punti di vista, quello oggettivo della realtà comune e quello psicologico del soggetto, ricorda i lavori di Dave McKean, nei quali la visione fotografica che tutti superficialmente potremmo avere delle cose si mescola all'interpretazione emozionale del soggetto rappresentato.
"Sei fatto" (2009) olio su legno, cm (24,6 x 34,3) Frame dal film Heat di Michael Mann
Per quanto concerne la rappresentazione dello stato esistenziale, solo in due lavori il soggetto raffigurato sembra effettivamente riflettere sulla propria condizione: ne “I pensieri del figlio”, in cui il conflitto con i propri genitori
determina la condizione d'ansia, e “I pensieri di Amleto”, simbolo dell'eterna lotta tra la volontà di agire e l'istinto all'immobilità. In entrambi i casi il personaggio raffigurato assume effettivamente la connotazione dell'eroe, in quanto, affidandosi alle parole di Pasolini, “bisogna essere forti per amare la solitudine”.
Sette spermatozoi volanti / Seven flying spermatozoa (2009 - 2022)
olio su legno, cm (34,7 x 30) oil on wood, cm (34.7 x 30)
Propaganda-Ipnosi / Propaganda-Hypnosis (2022)
olio su legno, cm (27 x 25,5) - oil on wood, cm (27 x 25.5)
Vertebrata (2009) cm(46,8 x 26,5) olio su legno
Maybe one day before I die I'll open that door, Maybe I'll cry, But for now I'll live in the dark.
Tony Banks , "In the Dark"