Il dolce naufragio
Galleria Tempo & Arte
Redazione del volume: Antonello Ribatti, Domenico Caggiano, Giuseppe Campanale, Nicola De Stefano
Fotografie: Studio "Set produzioni foto video"
Progetto grafico: Antonello Ribatti
Testi: Valerio de Filippis
Santa Fizzarotti Selvaggi
Introduzione: Giuseppe Campanale
Finito di stampare
nel maggio 2005 da: Grafiche Guglielmi - Andria (BA)
Sponsor: Tempo & Arte - Galleria d'Arte
newmood Arredamenti Di Stefano
Set produzioni foto video
Il dolce naufragio
di Giuseppe Campanale
Nell’immaginario collettivo le Sirene sono degli esseri antropomorfi che hanno sembianze femminili nella parte superiore del corpo, nella parte inferiore sono a forma di pesce.
Tutto ciò trae origine dalla mitologia greca, ove le Sirene erano donne bellissime che con il loro canto suadente ammaliavano i navigatori e li attiravano verso terra, dove essi trovavano la morte. Omero ne fa cenno, al libro XII dell’Odissea, allorquando Ulisse nel suo perenne viaggiare le incontra sulle italiche coste e, per non cedere alle loro lusinghe, si fa legare all’albero maestro della sua nave, vincendo quindi la forza suadente delle Sirene ed evitando morte sicura.
Oggi noi vediamo le Sirene come simbolo di un amore irraggiungibile, sono delle bellezze che trascendono le loro forme, incarnano la bellezza femminile sognata, eterea, sublime.
Le Sirene “moderne” sono delle muse ispiratrici di poeti intimisti e di artisti che rappresentano la figura femminile con grande pregio e delicatezza.
In questa direzione noto l’ispirazione e l’utilizzo nei suoi quadri delle Sirene da parte di Valerio de Filippis, un assai talentuoso e poco schematico artista romano, che viaggia nella pittura spaziando virtuosamente in vari generi descrittivi, rappresentando con grande efficacia questo mito. Le sue Sirene incarnano il fascino femminile, parlano dell’eros che vogliono esprimere, hanno corpi che attirano l’osservatore, ma si tratta sempre di un amore irraggiungibile, sublimato.
Le opere di Valerio de Filippis sono delicate, eleganti, con connotati classici nelle strutture e nelle forme; ma l’autore impregna la sua tela talvolta con colori esuberanti e con tanta energia tanto da voler avvolgere e abbracciare chi si accosta ad osservare le sue opere.
In alcuni quadri vengono raffigurati dei guerrieri, simboli di forza e mascolinità ma anche della brutalità della guerra; qui,
comunque, nelle sue opere sono sì forti i guerrieri, ma a mio avviso, sono posti come a guardia della figura femminile, custodi del mito, difensori dell’amore immaginato, del sentimento puro che l’uomo prova per la sua donna.
Sono felice di poter ospitare nella mia galleria una persona che oggi riesce ad esprimere tanto nelle sue opere.
Nettuno (2005) - olio su tela, cm (100 x 90)
"Quale canzone cantassero le Sirene, o quale nome si fosse dato Achille,
quando si nascondeva tra le donne, per quanto imbarazzanti,
non sono al di là di ogni possibile congettura.
Sir Thomas Browne
Le signore dei flutti
di Valerio de Filippis
Roma, anno 2003
Tempo fa, in una particolare fase della mia ricerca artistica, prendevano forma soggetti aventi come protagoniste le mitologiche Sirene, un mito incentrato sull'inesauribile fascino del femminile. Esse si presentano con corpi flessuosi e seducenti: raffigurate quasi sempre di spalle o con il volto celato, appaiono pervase da una strana malinconia. Ambientate in immaginarie spiagge rosse, azzurre o bianche, bagnate da un mare a volte calmo, altre volte tempestoso, sembrano annoiarsi nell'attesa di qualcosa o di qualcuno.
Fontana (2004) - olio su legno, cm (70 x 52)
Sono anche molti i quadri ove queste Sirene vengono a trovarsi in strane e misteriose fontane, poste al largo di oceani all'incrocio dei venti e delle onde di risacca, dove tempo e spazio appaiono sospesi, oppure all'interno di vasche circondate da alte mura, dove vi è poca acqua. Non è facile definire il rapporto di questi personaggi, queste mitiche Sirene e questi guerrieri, con l'eros, ma sicuramente esse sono l'immagine simbolica di un amore che non può giungere a compimento con l'unione carnale, un amore cosiddetto platonico. Si tratta allora di un eros soltanto contemplativo ed astratto, scevro da ogni passione materiale che, proprio come secondo la teoria platonica dell'amore, viene ad essere sublimato in energia. Quindi eros inteso come pulsione di vita, in accordo col suo significato originario. A questo proposito si potrebbe dire, riflettendo sull'uso del rosso, che quasi costantemente appare nei dipinti, che questo sia il simbolo dell'uno e, contemporaneamente, dell'altro, vale a dire dell'amore e dell'energia ad un tempo.
La fontana (2004) - olio su tela, cm (110 x 80)
Figlie del dio fluviale Acheloo e originariamente connesse con le Muse, ne avevano le stesse funzioni; più tardi le Sirene acquisirono il ruolo di incantatrici, ponendosi come il simbolo dei pericoli del mare. Musiciste squisite, una suonava la lira, un'altra cantava, l'altra teneva il flauto. Gli Argonauti, come anche Ulisse, passarono loro vicino ma Orfeo cantò e suonò tanto melodiosamente che i marinai della nave Argo non ebbero voglia di ascoltarle.
Leucosìa e Lìgeia (2005) - olio su legno, cm (90 x 60)
Di queste fantastiche creature degli scogli sono state elaborate svariate teorie, un intreccio di mitologia, storia e letteratura; in arte, rappresentate già nell'antica Grecia in forma di dipinti vascolari. Nel mito delle Sirene c'è, forse più di ogni altro, quella indeterminatezza che rende possibili le interpretazioni più diverse.
La piscina (2002) - olio su tela, cm (70 x 120)
Nell'Odissea, Ulisse viene messo in guardia da Circe nei confronti delle Sirene e non è un caso che, al fine di sottrarsi al loro letale canto, si faccia legare all'albero maestro della nave, l'asse vitale dello spirito. Egli non sa rinunciare ad un'esperienza conoscitiva dalla quale si esce probabilmente turbati e trasfigurati, nella quale dolcemente naufragare.
Ulisse sceso dalla nave (2005) - olio su tela, cm (80 x 90)
Il Tempio delle Sirene (2004) - olio su tela, cm (100 x 70)
Le divinità marine hanno per tradizione stretti rapporti con la conoscenza a carattere profetico. E quest'ultima, nella mitologia, viene quasi sempre comunicata attraverso la musica e il canto, in quanto segreta, iniziatica, aperta a pochi. Lo stesso Orfeo fu iniziatore di una religione misterica e il suo potere seduttivo, con l'ausilio della musica, nei confronti degli uomini e della natura, ci ricorda che la musica terrestre riflette un'altra musica, quella cosmica, divina, che è legge inconoscibile: non a caso Platone scelse proprio le Sirene come simbolo delle sfere.
L'isola delle Sirene (2005) - olio su tela, cm (80 x 60)
E se il mondo acquatico con i suoi esseri mitologici rimanda da un lato al sapere, dall'altro si pone, nei termini di attraversamento dell’acqua, come la prova necessaria per il passaggio tra due livelli di realtà, quello profano e quello sacro.
Dialogo della Conoscenza (2005) - olio su tela, cm (80 x 60)
La componente erotica delle Sirene, del tutto assente precedentemente, si instaura intorno al secondo secolo ad opera soprattutto di Clemente Alessandrino, sacerdote cristiano che teorizzò i rapporti tra ragione e fede, tra filosofia connessa al pensiero classico e rivelazione biblica. Egli è il primo a fare delle Sirene il simbolo delle lusinghe del mondo e della voluttà carnale; e questa visione in ambiente cristiano ben si accordava con i pericoli legati all'eresia gnostica e al crollo del mondo occidentale.
La fontana nell'oceano (2005) - olio su tela, cm (90 x 80)
Che le Sirene simboleggino i pericoli del mare o i rischi di una conoscenza totale o ancora la pericolosità di una perdizione carnale, certo è che in arte e in letteratura ogni autore ha interpretato questo mito in modo diverso e secondo il suo sentire, rielaborandolo nella sua fascinazione e rapportandolo al suo sé.
Le signore dei flutti (2004) - olio su tela, cm (100 x 70)
In questi miei dipinti, mi piace pensare all’acqua delle fontane, delle vasche e del mare come il simbolo di una sorta di liquido amniotico e quindi ad un ritorno ad esso, alla fine, alla chiusura del cerchio dell’esistenza e della conoscenza acquisita.
Lo scoglio (2009) - olio su legno, cm (100 x 70)
Esistenza e conoscenza dunque che si chiudono nello stesso elemento nel quale l’essere si è aperto ad esse. Le Sirene diventano il simbolo di una conoscenza che può essere data a coloro che si avventureranno.
Tempio (2004) - olio su tela, cm (56 x 90)
La “morte” di costoro non sarà fisica, ma sarà la morte del sé, cioè delle conoscenze limitate ed errate; questa morte simbolica e metafisica, questa “perdita” del sé arcaico permette di entrare nella creazione di un sé del tutto nuovo, quello della conoscenza e della sapienza, onde trovare tutte le risposte alle grandi domande esistenziali. Fondato è il timore dell’uomo che vi è attratto, rappresentato dal simbolo del guerriero che, fatalmente, viene sedotto abbandonando le armi.
I fuochi bianchi (2005) - olio su tela, cm (60 x 80)
La piscina (2003) - olio su tela, cm (70 x 80)
Ma a proposito delle varie stratificazioni interpretative del mito delle Sirene e della sua metamorfosi continua nel momento in cui si relaziona alle varie epoche, forse mai come oggi questo mito può rappresentare metaforicamente il timore dell’uomo nei confronti del femminile, in un tempo in cui la donna è non soltanto fortemente emancipata ma anche oggetto erotico dei media e della pubblicità.
La rivelazione negata (2004) - olio e acrilico su tela emulsionata stampata in digitale, cm (72 x 100)
Foto del soggetto femminile per gentile concessione della LANCASTER.
E in un momento in cui il conflitto tra il maschile e il femminile appare più profondamente controverso, parlare di amore ideale privo in quanto tale di gratificazione carnale, ci fa riflettere sul fatto che le Sirene, da questo punto di vista, non possono illudere ma nemmeno deludere.
La purezza del mondo (2005) - olio e acrilico su tela, dimensioni non disponibili,
E allora, questo eros, questa voglia di amore, di sentimento platonico, di purezza, questo desiderio di sublimazione in energia vitale e conoscitiva di fronte ad un mondo volgare e attratto da interessi affatto materiali, può diventare una nuova poetica della bellezza e dell’elevazione.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
Fontana di luce (2005) - olio e acrilico su tela, dimensioni non disponibili.
All'incrocio dei venti (2004) - olio su legno, cm (79,5 x 50,5)
"La madre riuscirà a trasformare con successo
la fame in soddisfazione, il dolore in piacere,
la solitudine in compagnia, la paura di morire
in tranquillità"
W. R. Bion
Il silenzio delle Sirene
di Santa Fizzarotti Selvaggi
Ulisse, prigioniero dei pensieri, ascolta il canto delle Sirene debordante di fantasmi e di niente. Nelle recenti opere di Valerio de Filippis i miti e le maschere definiscono una condizione nomade ed errante, sempre transferenziale mentre le luci disvelano il dolore di un corpo in frammenti.
L’artista gioca con l’immagine di un “oggetto” a tutti sconosciuto: in realtà fondamentale non è il suo ritrovamento, ma l’illusione di poterlo liberamente ricreare all’interno di sé, in quella dimensione dove ha luogo la sospensione dello spazio e del tempo.
La scena dell'arte è il territorio delle finzioni, delle metafore, delle allegorie: riproduce paesaggi di morte mentre all’improvviso ritorna il rimosso. Arcaici ed enigmatici linguaggi: ma “tutto ciò che passa non è che immagine", ha scritto Goethe. Ogni elemento della sequenza delle opere pittoriche di de Filippis è trasporto e coniugazione di gesti insani lungo i bordi della follia, dell'altra ragione, per un amore forcluso e senza ritorno.
La malinconia scaturisce da un'angoscia mortale: l'artista sceglie il divenire nella seducente fascinazione dello specchio, nel labirinto di travestimenti infiniti. Le apparizioni del “corpo-oggetto” feriscono il cuore e la mente: la memoria trattiene gli istanti, gli attimi, mentre la pittura evoca mute atmosfere lontane…
Tempesta sulla spiaggia rossa (2004) - olio su tela, cm (80 x 60)
L'assillante rapporto tra il maschile e il femminile gravita al centro delle opere di Valerio de Filippis fra sembianze ed artifici: l’artista abita nel deserto, tagliente ed assoluto. La perdita dell'oggetto d’amore primario non è tollerabile: il lutto diventa la condizione del ritorno di Narciso.
Ed è così che Valerio de Filippis colora il sembiante di un ricordo lontano: il desiderio si nutre di un’assenza, di qualcuno che dimora nel luogo atopico dove Thanatos trionfa.
Egli costruisce, così, una rappresentazione tragica vissuta sotto lo sguardo indifferente dell'Altro, del suo essere comunque Altrove. Sussurra, pertanto, un non-canto, una nenia, mima una scena di estrema difficoltà: il grido delle Sirene infrange il silenzio.
L’artista è consapevole della fatale ineluttabilità della sofferenza: aspetta se stesso al limitare di una forma informe, sul versante della solitudine totale. Il segreto dell'arte è tutto nella sua inutilità, ragione per cui de Filippis percorre i sentieri impervi del mito e della parola, del logos, quale pensiero e discorso, incontra la sorgente, si rispecchia in un' immagine sconosciuta nel tentativo di ascoltare il suo più autentico Sé attraverso l’Alterità.
Tempesta sulla spiaggia rossa (2002) - olio su tela, cm (100 x 70)
È la magia della menzogna che articola la legge del desiderio. Il cordone ombelicale si tende fino allo spasimo, l'artista nega la castrazione, ma esalta la ferita: con la teatralità del suo gesto invoca la voce primitiva, nel tentativo di possedere tutto ciò che non è più. Donne dipinte, due volte, cento volte sfigurate, vuote nei loro abiti gonfi di isteriche gravidanze, carne della propria carne.
L'invocazione si fa pittura, riflessione metafisica che affiora da vesti pregne di matericità, a tratti rarefatte, situazioni quasi acromatiche dall'odore dei secoli...
E' necessario ritrovare la propria identità sciogliendo le tenebre del caos, navigando in mare aperto, nonostante la Tempesta sulla spiaggia rossa. Come l’eroe alla ricerca di sé, mentre Penelope lo attende sul letto di ulivo.
Venere e Marte (2002) - tecnica mista su tela, cm (80 x 100)
Il fantasma materno emerge da mura lacerate: non si tratta di un amore platonico. L’artista si nutre del Senso: i corpi di
Venere e Marte, se pur dipinti sullo sfondo di un tetro scenario, invitano all’amore senza veli ed inganni. Odisseo sa che per rivedere i lidi dell’amata Itaca, deve resistere alle illusioni, al narcisismo, al delirio di onnipotenza, al canto seducente delle Sirene. In un’ ”isola felice”, in un luogo perduto, si inscrive il gesto originario che consente di riscoprire l’innocenza del cuore.
Tratto dal saggio "Il colore della mente", di Santa Fizzarotti Selvaggi
pagg. 146, 147, 148
2004 Schena Editore, Fasano (BR)
--------------------------------------------------------------------------------------------------------
Progetto per un feto bionico transumano deforme (2022)
tecnica mista su legno, strutture elettroniche, led. cm (54 x 84)
Il titolo è molto forte. Come nasce?
Il quadro che dà il titolo alla mostra è nato da una gettata di colore liquido su di una tavola posta in piano. La forma che si delineò sembrava un feto. E così lo trasformai in un esserino al cui interno, tramite apposite piccole finestre, si notano delle strutture elettroniche illuminate da led. Questo feto sono sempre io in un autoritratto immaginario. La parola “deforme” allude ad una deformità morale. Perché, alla fine dei conti, se da una parte assistiamo al superamento dei limiti psicofisici, dall’altra vi è inevitabilmente una perdita. La perdita della fragilità e della consapevolezza della finitezza umana, attraverso, non dimentichiamolo, l’aspetto del prolungamento della longevità. In altre parole, quello che si otterrebbe, secondo il mio sentire prettamente emozionale e intuitivo, dovrebbe consistere nello smarrimento, fino alla privazione, di quella tensione spirituale della quale la creatività non può fare a meno, che deriva proprio dal sentimento della finitezza, dal rapporto con lo spazio e il tempo. L’abbandono del corpo biologico, privato della sua corruttibilità, porterebbe ad un rapporto malsano e morboso con il tempo della vita, alla quale secondo me, ognuno è chiamato per scriverne e lasciarne un senso.
Figura Zero (2005)
tecnica mista su legno, cm (110 x 80)
È successo che durante la creazione, un’opera ha preso una piega diversa rispetto alle intenzioni iniziali?
Sì, qualche volta mi è capitato di mentire a me stesso senza accorgermene. Dunque, un soggetto che pareva essere al centro del mio interesse in quel dato momento naufragava nel colore, per poi riaffiorare con ciò che veramente volevo esprimere. Essendo un essere cibernetico e transumano esclusivamente negli autoritratti, sono soggetto all’errore e lo dico in tutti i sensi.
Giovanni Zambito.
Malfunction (2023)
tecnica mista su legno, circuiti elettronici, led. cm (88,5 x 49)
PROGETTO PER UN FETO BIONICO TRANSUMANO DEFORME
di Francesca Perti
“Valerio De Filippis, con Progetto per un feto bionico transumano deforme, porta al punto più alto la sua riflessione sull'essere: la paura di essere e quella del divenire altro. Lo fa attraverso una serie di autoritratti che diventano il suo amuleto esorcistico personale. L’autoritratto, nel corso del tempo, ha dimostrato di essere molto di più di una semplice rappresentazione fisica dell'artista, è soprattutto un mezzo per esplorare le proprie contraddizioni interiori, un viaggio verso l'autoconoscenza personale e politico.
Per De Filippis, ricercatore dello spirito, uomo di idee al pari di ogni filosofo, l'autoritratto è un modo per indagare, non solo quello che di sé non conosce, ma anche quello che si vorrebbe essere e la paura di diventarlo. [...] Progetto per un feto bionico transumano deforme è un’autobiografia onnivora e selvaggia, un’autobiografia virulenta dove l'ottica dello spettatore viene continuamente catapultata entro lenti deformanti.
De Filippis è nudo, ci offre le sue diverse facce e le sue innumerevoli forme, venendo così risucchiati dalla sua chimica nervosa. Opere come Flames/ Darkness, Ibiscus o gli Androidi, caratterizzate da un segno solido come il cemento, rappresentano non solo la rivelazione, la presa di coscienza e l'apertura al futuro, ma anche l'interesse dell'artista per il transumanesimo o post umano, la curiosità di esplorare le possibilità immaginative create dalla nuova tecnologia. L'Androide è una proiezione di quello che De Filippis potrebbe diventare ed è un divenire che incuriosisce emoziona e intimorisce.
Tutte le opere di De Filippis recano in sé un germe di autodistruzione, proprio per la continua tensione a sperimentare; sono trame elettriche di energia pittorico - corporale: è un
Dorian Gray che fagocita il suo mostro, caricandolo di movimento ed energia.”
(dal testo critico di Francesca Perti)
Valerio De Filppis (Pozzuoli (NA), 5 marzo 1960) inizia la sua ricerca artistica nel campo della pittura nel 1980 a Bari, poco prima prima del conseguimento della maturità scientifica (1982). Compie numerosi viaggi all'estero stabilendosi nel 1992 per due anni a Bruxelles. Dal 1994 vive e lavora a Roma dove nel 2003 fonda lo Studio E.M.P. (Experimental Meeting Point) studio d'arte, luogo di interscambio espositivo e confronto culturale e tecnico tra artisti di qualsiasi linguaggio. Vincitore di numerosi premi, è stato invitato a diverse rassegne, anche internazionali. Del suo lavoro si sono interessati in più occasioni la stampa e la radiotelevisione italiana. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Attivo dal 1980 nel campo dell'iperrealismo, negli anni Novanta vive la prima fase di distacco dal realismo figurativo verso esperienze tendenti all'astrattismo. Dal 2003 conduce una ricerca pittorica sperimentale attraverso l'uso di colori e materiali non tradizionali. Soggetto delle sue opere è il corpo umano, prevalentemente maschile, ad eccezione del ciclo sulla mitologia delle Sirene. Nel 2001-02 si è avvicinato alla pittura neoespressionista conducendo una ricerca su tematiche legate ai comportamenti umani aberranti, generando, in occasione di una mostra ad Orvieto, controversie che sconfinavano in un'interrogazione parlamentare. Negli anni 2004-'06 ha lavorato ad opere a tecnica mista tra pittura e computer art, con il ciclo denominato "Frammenti". Nel 2007 realizza la sua prima installazione, un video e alcune opere concettuali. Nel 2010 è autore di alcune performance, due delle quali estreme. Dal 2013 comincia a sperimentare la videoart, il montaggio video e la composizione musicale, quest'ultima avvalendosi sia di software per elaborazione di Musica Concreta, sia studiando pianoforte e chitarra. Nel 2015, dopo aver musicato con voce alcune liriche di William Blake, realizza "Musica per Riccardo III", con testi originali di William Shakespeare. Nell’aprile 2017 termina il film “The Mirror and the Rascal”, con testo originale del Riccardo III di W. Shakespeare, che si caratterizza per talune trovate surreali e sperimentali, e per la contaminazione fra teatro, cinema e videoart. La prima del film viene proiettata a Roma il 12 giugno 2019 al cinema Azzurro Scipioni. Dal 2018 studia pianoforte classico e teoria musicale, proseguendo comunque l’attività pittorica.
Tags